Denaro, energia, cibo. La nostra economia si occupa di valutare e misurare queste grandezze e molte altre

Eppure vi è un fattore che è estremamente importante e che difficilmente possiamo quantificare: l’attenzione. È un fattore prezioso e assolutamente limitato. Il Neuromarketing applicato alle immagini vuole dare una risposta a questa esigenza della nostra economia, l’economia dell’attenzione

 

Una definizione di attenzione

L’attenzione è uno stato in cui le nostre capacità cognitive sono focalizzate su determinati aspetti dell’ambiente e siamo disponibili a ricevere gli stimoli collegati

La nostra attenzione si manifesta sotto molteplici aspetti, come aiuto, amore, riconoscimento. La realtà è che non ci possiamo occupare di tutto, la nostra capacità di portare attenzione ha una dimensione finita. Senza contare che siamo esposti ad una quantità di stimoli che si moltiplica anno dopo anno, oggi in un numero dieci volte maggiore di quanto accadeva soltanto dieci anni fa.  Siamo obbligati a fare delle scelte in ogni momento proprio per questo aspetto

 

 

Il marketing deve persuadere?

Il concetto, alla luce delle considerazioni che abbiamo visto prima, che il marketing deve persuadere viene ribaltato. Il punto non è influenzare le azioni del consumatore, quanto ottenere per prima cosa l’engagement, il coinvolgimento dei nostri clienti, che si basa sulle emozioni come veicolo fondamentale

L’attenzione è quindi importante per tutti i marketer, sia che vogliano far acquistare un determinato prodotto sullo scaffale del supermercato, sia che vogliamo mettere in evidenza proprio lo shop di quel brand dentro il centro commerciale

 

L’attenzione non è sempre la stessa

Molto spesso intendiamo l’attenzione in modo univoco. In realtà le neuroscienze distinguono due tipi di attenzione, quella top down up o endogena, che usi quando fai la spesa con la lista della spesa in mano e hai l’obiettivo di acquistare proprio quella cosa, e l’attenzione bottom up o esogena che sperimenti quando passeggi dentro il centro commerciale senza un obiettivo specifico (Itti & Koch, 2001)

Spesso questa è una distinzione che i marketer non colgono, soprattutto quando sono chiamati a tradurre in azioni l’obiettivo di ingaggiare il cliente

 

La salienza

La salienza è la capacità di una immagine di risaltare rispetto al resto dell’ambiente in cui è collocata.

Quindi utilizzando il principio della salienza siamo portati a descrivere il nostro target in modo unico e distintivo. Il principio di salienza è quindi utile per attirare l’attenzione del cliente, ma non sempre, anzi talvolta può essere controproducente

Quando utilizziamo l’attenzione top down, siamo naturalmente portati a vedere solo gli stimoli coerenti con il nostro obiettivo escludendo selettivamente tutti gli altri (Folk, Remington e Johnston, 1992)

Questo può sembrare contro intuitivo. Perché siamo abituati a pensare ai prodotti, che sono solo una parte delle situazioni possibili. Vediamo un esempio

 

 

L’attenzione top down

Quando visitiamo un sito web, il contenuto della pagina è il nostro obiettivo. Solitamente gli annunci sulla pagina sono posizionati in alto, o in basso o a destra o a sinistra, ma sempre fuori del contenuto target. Per questo spesso sono poco efficaci

Attivando l’attenzione top down, istintivamente noi tagliamo via proprio quelle aree fuori dal nostro target

Se è possibile, è utile posizionare l’annuncio all’interno del testo in modo da farlo sembrare parte di esso, penetrando così l’attenzione selettiva

Facile, vero? Non resta che provare

 

L’attenzione bottom up

Questo è il tipo di attenzione che i marketer devono saper padroneggiare

I brand, la pubblicità in genere si fondano sull’attenzione esogena. Che viene stimolata in buona parte dal cambiamento e proviene dai nostri antenati

I nostri antenati avevano la chiara necessità di rilevare gli stimoli potenzialmente pericolosi in tempi rapidissimi, altrimenti la funzione riproduttiva poteva venire compromessa. Basti pensare al leone della savana: una minaccia da sventare rapidamente, sarai d’accordo con me! (Ohman, Flykt, & Esteves, 2001)

Allora l’uomo ha sviluppato quei meccanismi che scansionano costantemente l’ambiente alla ricerca di potenziali rischi. Un’attività altamente dispendiosa dal punto di vista energetico, che ha guidato lo sviluppo tra l’altro dei bias cognitivi

 

Gli stimoli dell’attenzione

L’eredità ancestrale di questi stimoli potrebbe essere suggerita da cosa ancora oggi consideriamo pericolo. Animali, altezze, spazi aperti, bruschi movimenti e suoni forti innescano un senso di pericolo in noi, nonostante che oggigiorno sia molto più pericoloso guidare un’automobile (e nessuno ha paura di una bella Ferrari che ci sfreccia accanto!)

Ancora oggi, la visione di una forma a “V” attiva l’amigdala e il sistema di rilevamento di possibili minacce. E quindi potenzialmente attirano la nostra attenzione, anzi è proprio quello rilevato in un esperimento del 2007 condotto da  Larson

 

 

Guarda le due immagini, noterai che è più facile individuare la “V” nello schema di destra rispetto alla “V” rovesciata nello schema di sinistra

 

Perché siamo proprio allertati da una semplice “V”?

La risposta nel prossimo articolo dove ti parlerò degli stimoli che catturano l’attenzione dei tuoi clienti, con tanti esempi che ti saranno utili per il tuo lavoro

 

 

 

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